giovedì 13 settembre 2007

Nassiriya: Impiccato l'ideatore della strage

Abu Omar Al Kurdi, il terrorista accusato di essere l'ideatore dell'attentato di Nassiriya in cui il 12 novembre 2003 morirono 19 italiani, è stato impiccato in Iraq. E l'inchiesta della procura di Roma sugli esecutori della strage, in cui compariva come unico indagato, è inevitabilmente destinata ad essere archiviata. In piedi, a questo punto, resta solo l'indagine avviata dalla magistratura militare per le presunte carenze nella difesa di base Maestrale, devastata dall'esplosione del camion imbottito di esplosivo: l'udienza preliminare nei confronti dei tre ufficiali imputati è prevista per le prossime settimane.

'Il curdo' - ritenuto uno dei luogotenenti di Abu Musab al Zarqawi - venne arrestato dagli americani in Iraq un paio di anni fa: ha confessato di aver organizzato 36 attacchi suicidi, compreso quello di Nassiriya. Un tribunale iracheno lo ha processato e condannato a morte: pena che è stata eseguita, nonostante i tentativi da parte dell'Italia di evitarlo. Secondo quanto riferito dallo stesso al Kurdi, anche ai carabinieri del Ros, l'uomo avrebbe preparato materialmente il camion bomba insieme ad un altro terrorista, Haji Thamer, ucciso successivamente a Falluja.

L'operazione fu preceduta da una serie di sopralluoghi, durante i quali i due avrebbero verificato che le misure di sicurezza della base, posta nel centro della città, "erano scarse". L'attentato venne però rinviato perché il camion, guidato da Thamer e carico di 3.500 chili di esplosivo, venne bloccato dalla polizia. Il terrorista ne tornò in possesso il 12 novembre, sembra corrompendo i poliziotti con soli 300 dollari. Mentre Thamer restò sul posto per documentare l'esito dell'esplosione, a farsi saltare in aria alla guida del camion-bomba sarebbero stati un certo Abu Zubeir al Saudi, 'il saudita', e l'algerino Bellil Belgagem.

I pm romani titolari degli accertamenti sulla strage, Ionta, Saviotti e Amelio, avevano sollecitato l'estradizione provvisoria del terrorista, già condannato a morte. Al governo iracheno, con una lettera, avevano chiesto di sospendere l'esecuzione della pena capitale per consentire la celebrazione del processo a Roma in sua presenza. Non sarà più possibile. Si terrà invece le prossime settimane, davanti al gup del tribunale militare di Roma, l'udienza preliminare nei confronti dei tre ufficiali italiani accusati, a vario titolo, di aver colposamente omesso di predisporre tutte le misure idonee alla difesa di Base Maestrale e di non aver dato il giusto peso alle segnalazioni di possibili attentati. Gli imputati, che respingono ogni addebito, sono i generali dell' Esercito Vincenzo Lops e Bruno Stano, che si sono avvicendati al comando del contingente nazionale, e il colonnello dei Carabinieri Georg Di Pauli, comandante della Msu, l'unità specializzata multinazionale dell' Arma che aveva il suo quartier generale proprio nella Base Maestrale.

martedì 11 settembre 2007

Sicurezza cercasi

I milanesi si sentono poco sicuri - Boom delle difese 'fai da te'

Il 65,3% degli intervistati si sente meno sicuro nei luoghi pubblici affollati: lo scorso anno aveva dato la stessa risposta il 50,6%. Si segnala anche una crescita del 6,7% a Milano delle imprese che lavorano nella produzione e distribuzione di casseforti, porte blindate, vigilanza privata, antifurti

Un'esigenza sempre più marcata che ha determinato la crescita dell'1,6% in Italia, e del 6,7% a Milano, delle imprese che lavorano nella produzione e distribuzione di casseforti, porte blindate, vigilanza privata, antifurti.

L'elaborazione su dati del registro delle imprese 2005 e 2006, effettuta dalla Camera di Commercio di Milano, mette in luce come l'effetto terrorismo faccia calare la percezione di sicurezza: il 65,3% degli intervistati si sente meno sicuro nei luoghi pubblici affollati: lo scorso anno aveva dato la stessa risposta il 50,6%. Si temono i legami tra criminalità e comunità di origine araba, soprattutto con le pianificazioni di azioni terroristiche sul territorio (29,3%) e con l'aumento di microcriminalità nelle città (17,6%).

A sentire i cittadini si scopre che la sicurezza è uno dei temi più sentiti per uno su dieci. Circa uno su tre (quasi uno su due in centro) individua nella vigilanza l'intervento più adatto. Ad essere più impaurite sono le donne; i giovani vorrebbero maggiore sorveglianza nelle ore notturne, mentre sono gli anziani a chiedere interventi punitivi contro la microcriminalità.

Guardando al confronto con l'Europa, gli italiani in generale si sentono più insicuri: quasi la metà (43%) teme di subire un furto entro un anno (contro la media europea del 30%) e oltre uno su tre (35% contro 28% europeo) non si sente sicuro nel camminare di sera nel proprio quartiere. Per questo, il 20% ricorre ai sistemi d'allarme, il 59% alle porte blindate e il ricorso ai bodyguard è aumentato del 13%.

lunedì 10 settembre 2007

Cassazione: carcere anche per i minorenni che rubano

La Cassazione dà il via libera alla custodia cautelare nei confronti di ragazzini minorenni accusati di furto in appartamento o scippi per strada. La Suprema Corte ha infatti annullato l’ordinanza con la quale il Tribunale per i minorenni di Roma aveva disatteso la richiesta di convalida dell’arresto di un’adolescente nomade, sorpresa a rubare in una casa, sostenendo che la misura cautelare non era applicabile per questo genere di reati. La Suprema Corte è stata di diverso avviso e ha annullato con rinvio al Tribunale per i minorenni di Roma che dovrà adottare la linea dura nei confronti dei giovanissimi ladri d’appartamento e scippatori.

Sull’applicabilità, o meno, del carcere preventivo ai minori accusati di furto nelle abitazioni o scippo, la Cassazione ha prodotto due filoni giurisprudenziali in netto contrasto tra loro e mai risolti, finora, dalle Sezioni Unite cui la questione era stata sottoposta ma che - per motivi di sopravvenuta mancanza d’interesse - non è stata risolta. In base a un primo orientamento, la custodia cautelare non sarebbe applicabile nei confronti dei minorenni che rubano e scippano in quanto il carcere preventivo per tali reati non sarebbe espressamente richiamato dal Dpr 448 del 1988 che disciplina i casi in cui può essere applicata la custodia nei confronti di imputati minorenni. Un secondo orientamento - condiviso dalla sentenza 34216 della quarta sezione penale della Suprema Corte, depositata oggi, sostiene che è invece possibile applicare ai minori la custodia cautelare anche nel caso di "illeciti puniti con la reclusione non inferiore a nove anni" ed anche nel caso di "specifiche fattispecie" come quelle del furto "ridisegnate" dalla legge 128 del 2001.

In pratica, per gli 'ermellini' "i reati di furto, aggravati perché commessi in abitazione o con strappo" fanno scattare la custodia cautelare in quanto hanno "l’aggravante incorporata" dalla modalità stessa di commissione del reato e non importa se, per i furti in appartamento e gli scippi, il nuovo articolo 624 bis del codice penale prevede la reclusione massima fino a 6 anni. Per effetto di questa decisione il Tribunale dei minorenni di Roma dovrà rivedere la decisione con la quale, lo scorso 23 gennaio, ha rimesso in libertà Romina N., un’adolescente sorpresa a rubare in un appartamento della capitale. La convalida dell’arresto era stata chiesta dal pm.

venerdì 7 settembre 2007

Case popolari a prezzi stracciati

Dopo le case degli enti e quelle di proprietà del comune, adesso nella capitale è arrivato il momento della svendita degli alloggi popolari dell’Ater provinciale. L’ex Istituto per la case popolari (Iacp) di Roma, infatti, ha trovato un solo modo per uscire da un buco di bilancio spaventoso (un miliardo di euro il debito strutturato, 50 milioni le perdite aggiuntive di ogni anno): vendere subito 15mila appartamenti, oltre il 28 per cento del patrimonio totale (circa 53mila gli immobili).

Case popolari, certo. Alloggi spesso in periferia, ovvio. Stabili in condizioni disastrate, nella maggior parte dei casi. Ma non sempre è così. Tra le proprietà dell’Ater figurano anche palazzi in zone centrali, magari da restaurare, ma il cui valore è certamente più alto di un monolocale in periferia. A Prati per esempio. Tra gli alloggi che finiranno sul mercato, infatti, figurano quelli di piazza Mazzini, viale Mazzini, via Sabotino e viale Carso. Eppure il prezzo medio cui verrà dismesso il patrimonio, parole del presidente dell’Ater Luca Petrucci, è di 60mila euro. Un’inezia in una città in cui i costi degli appartamenti sono alle stelle.

A denunciare da tempo le «stranezze» connesse alla svendita Ater è il capogruppo regionale del Lazio dei Socialisti riformisti Donato Robilotta. «Il presidente dell’Ater sta svendendo il patrimonio - attacca l’esponente socialista, assessore al tempo di Storace, ora nella maggioranza di Marrazzo -. A luglio la giunta ha modificato la legge regionale che impediva la vendita a chi non aveva diritto all’alloggio popolare con un piccolo aumento di prezzo di circa il 15 per cento». Così, per tornare all’esempio di Prati, case che valgono sul mercato un milione e 400mila euro saranno vendute a 150mila euro. E, come detto, potrebbero finire a chi non aveva nemmeno diritto all’immobile. «Nell’emendamento che avevo presentato io e che è stato respinto in giunta - prosegue Robilotta - avevo proposto di consentire sì la vendita di questi appartamenti di pregio anche a chi avesse un reddito superiore. Ma, a mio avviso, il prezzo doveva essere quello di mercato su cui applicare un piccolo sconto dell’ordine del 20 per cento. Ho chiesto da tempo che venga bloccata la vendita di questi stabili e di modificare la legge regionale. Ma Petrucci non ci sente».

Contro la decisione dell’Ater si è espressa anche Confcooperative Roma. «È sconsolante e sconcertante quanto sta avvenendo - le parole del presidente Carlo Mitra -. Questo accade quando è assente il concetto di “responsabilità” sia da parte della struttura chiamata a gestire e valorizzare un bene pubblico, sia da parte degli utenti beneficiari. Ciò non sarebbe mai accaduto e mai è accaduto laddove le abitazioni sociali si sono costruite con la forma cooperativa». Ma è sulla questione della vendita a chi non aveva diritto che Mitra si scatena: «Quelli che veramente hanno problemi non potranno partecipare alla cartolarizzazione, mentre non poche famiglie con redditi importanti in esso insediate acquisiranno un bene pubblico di grande valore a prezzi di favore. Si afferma che sia un percorso obbligato. Peccato che tutte le azioni politiche da un po’ di tempo privilegino sempre chi è già dentro al sistema delle garanzie sociali».

giovedì 6 settembre 2007

L’indulto libera anche Erika, Omar e Jucker

Geografia della cronaca nera che tutti abbiamo sfogliato con orrore: Ruggero Jucker, il rampollo della Milano bene che fece a pezzi la fidanzata, è a un passo dai primi permessi; Erika, la ragazza di Novi Ligure protagonista di uno spaventoso massacro, fra sei mesi avrà tutti i requisiti per chiedere la semilibertà e lasciarsi alle spalle il carcere; Pietro Maso, il giovane bene di Verona che sterminò i genitori, di qui all’autunno potrebbe abbandonare la prigione di Opera.

E' l’indulto a tenere insieme tutte queste storie che albergano nei retropensieri di tutti gli italiani. «Meglio sei mesi di carcere effettivo che sei anni di carcere minacciato - allarga le braccia Franco Coppi, principe del foro - ma da noi la pena non è certa e l’indulto ha dato il colpo di grazia a un sistema farraginoso e sgangherato». L’indulto, ovvero il bonus di tre anni che si applica a una sfilza di reati, anche i più odiosi come l’omicidio. Trentasei mesi in meno che abbattono la pena e ridisegnano tutti i parametri che calcolano la vita carceraria di un individuo. «Possono apparire operazioni noiose di aritmetica giudiziaria - prosegue Coppi - ma alla fine è l’effettività della pena a farsi benedire, proprio perché l’indulto moltiplica i suoi effetti combinandosi con altri strumenti, come la liberazione anticipata, la semilibertà o la libertà condizionale».

Gli esempi sono la prova provata che l’inquietudine serpeggiante fra la gente comune ha un fondamento: la pena comminata è spesso assai lontana da quella reale che poi è quella percepita dai cittadini. Prendiamo il caso, spaventoso, della povera Alenya Bortolotto, la bella ragazza uccisa con un coltello dal fidanzato Ruggero Jucker. Era il luglio 2002 e la Milano bene fu sconvolta da quel delitto crudele e senza alcun movente. «Jucker - spiega l’avvocato Vinicio Nardo, che difende gli interessi della famiglia Bortolotto - fu condannato a 16 anni. Con l’indulto si scende a 13». Ma la corsa all’ingiù dell’ascensore non si ferma qui: «Ogni anno di carcere, il detenuto guadagna uno sconto di tre mesi, a meno che non sia responsabile di comportamenti scorretti. Jucker, in galera dal luglio 2002, dovrebbe aver avuto per questo un ulteriore bonus di un anno e tre mesi». Dunque? «A ottobre - aggiunge Nardo - avrà raggiunto la bandierina della metà pena e avrà diritto ai permessi. Il 20 gennaio 2009 potrà chiedere la libertà condizionale e in quel caso sarà completamente libero. Naturalmente, il tribunale di sorveglianza potrebbe dire di no ed è probabile che alla fine imponga una misura di sicurezza, come il ricovero in una struttura psichiatrica, ma intanto queste sono le scadenze sul calendario».

Un’eccezione? La tragedia biblica di Erika e Omar ci costringe ancora a muoverci fra sconti e bonus, con l’indulto a fare da moltiplicatore. Erika ha avuto 16 anni, Omar 14: con la legge «buonista» diventano 13 e 11. La lezione di aritmetica già letta per Jucker si ripete con qualche variante: i due sono in cella da 6 anni e mezzo, dovrebbero aver incamerato, con la liberazione anticipata, un ulteriore sconto di un anno e mezzo, anzi qualcosa in più. Risultato: grossomodo fra sei mesi Erika potrà aspirare alla semilibertà - non alla libertà condizionale che presuppone il risarcimento del danno - e a una vita quasi normale. «Omar, invece, ha già raggiunto il traguardo dei due terzi della pena, - dice al Giornale Mario Boccassi, il difensore di Erika - ma i giudici gli hanno negato tutti i benefici e credo che anche per Erika la strada sia tutta in salita».

Nulla è automatico: a volte i giudici spruzzano clemenza, a volte stracciano le equazioni costruite con la legge Gozzini e non concedono nulla di nulla. In autunno, anche Pietro Maso, dentro dal ’91, potrebbe entrare, sfruttando il doppio scivolo dell’indulto e della liberazione anticipata, nel girone dei semiliberi. Come Mattia, il minore che partecipò allo stupro e all’omicidio di Desirée, altro foglio nell’album di un’Italia feroce. Ma qui, la scorciatoia si perde nel pasticcio legislativo che ha accompagnato il varo della norma: l’indulto si applica all’omicidio, non alla violenza sessuale. «Mattia - conclude Coppi - resterà in cella qualche mese in più».

Addio a Pavarotti, la voce italiana

Il tenore Luciano Pavarotti è morto nella sua villa a sud di Modena. Era malato di tumore al pancreas. La notizia è stata confermata da Terri Robson, manager del tenore, alla Reuters. "Luciano Pavarotti è morto un'ora fa", ha comunicato Robson in un fax all'agenzia britannica. Secondo voci che già si erano rincorse a Modena da un paio di giorni le condizioni di Luciano Pavarotti, dimesso dal Policlinico di Modena il 25 agosto, si erano ulteriormente aggravate. Pavarotti, operato per tumore al pancreas l'anno scorso, aveva avuto un peggioramento mentre si trovava nella sua casa sulle colline di Pesaro e l'8 agosto era stato ricoverato con difficoltà respiratorie e febbre alta. Dopo la degenza, che si era prolungata più del previsto, era tornato a casa, ma a Modena, seguito dai medici del dipartimento di oncologia. I funerali di Pavarotti si svolgeranno sabato pomeriggio - per permettere alle personalità internazionali di prendervi parte - nel Duomo di Modena. Nello stesso Duomo, oggi pomeriggio, sarà allestita la camera ardente.

Due giorni fa il premio per l'Eccellenza in cultura Proprio due giorni fa il ministro della Cultura, Francesco Rutelli, aveva annunciato l'assegnazione al Maestro Luciano Pavarotti del Premio per l'Eccellenza nella cultura e aveva ricordato la grande battaglia che Big Luciano stava combattendo contro la malattia "con la stessa determinazione con cui si è affermato nel mondo in una carriera formidabile". Il ministro dei Beni culturali aveva ricordato la vicinanza di istituzioni e popolo italiano a Pavarotti nella sua battaglia e hanno manifestato in questi mesi e anni la loro stima e ammirazione per il tenore: "Rispetto a tutto ciò non abbiamo voluto mancasse un riconoscimento formale". Nell'apprendere la notizia del prestigioso riconoscimento, il Maestro aveva espresso la sua commozione e "affettuosa riconoscenza": "Il premio mi riempie di gioia e di orgoglio, viene ad abbracciare la mia lunga carriera, in cui ho avuto il privilegio di portare la cultura italiana nel mondo".

Il tenore più famoso degli ultimi 30 anni Luciano Pavarotti, 71 anni (nato a Modena il 12 ottobre 1935), è stato il tenore più famoso degli ultimi trent'anni. Figlio di un fornaio dell'esercito, appassionato di canto, Luciano, studia con il tenore Arrigo Pola e il Maestro Ettore Campogalliani. Debutta il 29 aprile 1961, nel ruolo di Rodolfo in La Boheme, all'Opera di Reggio Emilia. Negli Stati Uniti trionfa nel febbraio 1965, a Miami, con Joan Sutherland, nella Lucia di Lammermoor. Ma l'exploit arriva il 17 febbraio 1972, al Metropolitan di New York, dove nella Fille du Régiment di Donizetti manda in visibilio il pubblico con nove Do di petto perfetti. suo il record di 17 chiamate ed ovazioni al sipario. Da allora il suo nome è noto al grande pubblico grazie anche alla tv.

I successi recenti Negli anni '90, Pavarotti cura molto i concerti all'aperto, che si rivelano grandi successi. Ad Hyde Park a Londra attira oltre 150.000 persone. Nel giugno 1993, in più di 500.000 si accalcano in Central Park (New York), mentre in milioni lo seguivano in tv. A settembre dello stesso anno, all'ombra della Torre Eiffel, canta per circa 300.000 persone. Tra i più famosi, i concerti dei Tre Tenori con Plácido Domingo e José Carreras. Ma è intensa anche l'attività di organizzatore del 'Pavarotti and friends', col quale riunisce nella sua città natale, a scopo di beneficenza, le star del pop internazionale.

Il testamento: "Ricordatemi come un cantante lirico" "Spero di essere ricordato come cantante d’opera, ovvero come rappresentante di una forma d’arte che ha trovato la sua massima espressione nel mio Paese, e spero inoltre che l’amore per l’opera rimanga sempre di importanza centrale nella mia vita". Così Luciano Pavarotti in una sorta di testamento artistico pubblicata parecchi mesi fa sul suo sito internet, all’epoca del Farewell tour poi interrotto per i problemi di salute, e tuttora presente sul web. "Fortunatamente la vita ci presenta momenti assai diversi - scriveva il Maestro - E come tanti miei predecessori, compreso il grande Caruso, amo la diversità musicale dei brani scritti per voce di tenore. La letteratura per tenore è la più variegata di tutte. In qualsiasi lingua, e in confronto ad altri generi, contiene la gamma di emozioni più ampia".

lunedì 3 settembre 2007

Morto Nirenstein, una vita dedicata alla Shoah

Si è spento ieri nella sua casa alle pendici della collina di Fiesole (Firenze) Alberto Nirenstein. Combattente delle Brigate Ebraiche nella seconda guerra mondiale, in Nord Africa e in Italia (sbarcò a Salerno), aveva lasciato Varsavia nel 1936 ed era stato sionista e fra i primi coloni dello stato di Israele, rispondendo alla chiamata di Ben Gurion. Era nato nel 1915. La data esatta è imprecisata, causa la distruzione dei documenti anagrafici dopo l’invasione nazista e la Shoah. Il suo paese d’origine, Baranow, tra Lublino e Varsavia, fu raso al suolo durante la guerra e mai più rifondato. Proprio alla ricostruzione delle vicende dell’Olocausto Nirenstein (il cui cognome originario, Nirenstajn, venne poi italianizzato) aveva dedicato gran parte della vita, tornando a Varsavia nel 1950 alla ricerca di documenti e testimonianze.

Scrisse tra l'altro il primo libro sullo sterminio, Ricorda cosa ti ha fatto Amalek (Einaudi, 1960). A Varsavia, il giovane studioso ritrovò i diari che un gruppo di intellettuali avevano nascosto in dieci casse, dopo aver descritto accuratamente le cronache dell’istituzione del ghetto e del massacro che ne seguì. Tradusse tutti i documenti redatti in ebraico e in yiddish. Ma una volta terminato il lavoro, gli venne impedito l’espatrio. Come ricorda una delle sue tre figlie, Fiamma, nota giornalista ed editorialista del Giornale, «fu rilasciato solo alla morte di Stalin, nel 1953. Prima, neppure mia madre, Wanda Lattes, riuscì a ottenere che la burocrazia sovietica gli permettesse il rimpatrio, pur essendosi rivolta direttamente a Palmiro Togliatti».

Alberto Nirenstein era un uomo schivo. Non cercava la notorietà. Forse anche per questo, spiega ancora la figlia «l’Italia non gli ha mai riconosciuto il ruolo di testimone diretto né di studioso della Shoah, relativamente alle vicende polacche». Aveva studiato anche le vicende di Cracovia. Sostenne: «È giusto parlare di Schindler, ma sarebbe anche giusto parlare di quei ragazzi e ragazze di 18, 20 anni, poco meno di un centinaio che attaccavano le Ss, ancora prima della rivolta del ghetto di Varsavia. Giovani anarchico-romantici, molto idealisti, che sapevano di avere poche possibilità di scampare. Furono quasi tutti catturati dopo un attacco a un grande caffè di Cracovia. Prima di morire una ragazza è riuscita a scrivere, rinchiusa nella cella, un diario che si chiama Il diario di Justina. È quasi più commovente del Diario di Anna Frank».

Lo scrittore rimase sempre apolide, scegliendo di vivere nel nostro paese per motivi familiari, ma mantenendosi attivo nel movimento La Giovane Guardia e collaboratore del giornale israeliano Al Namishmar, (La Guardia). Lui, laico che frequentava la sinagoga nelle festività, aveva incontrato papa Giovanni Paolo I e gli aveva parlato della questione ebraica in Polonia, in termini franchi e diretti, ricevendone manifestazioni di simpatia, anche personale. Alcune sue toccanti rievocazioni sono nei racconti del volume Come le cinque dita di una mano (Rizzoli, 1998) scritto insieme alla sua famiglia. Un’altra figlia, Susanna, è giornalista e una terza, Simona, musicista. Nirenstein ha avuto una vita dura e romanzesca, costellata di prove spaventose, ma animata da una fame inesauribile di verità. Eppure, come recita il titolo di un altro suo libro, È successo solo cinquant’anni fa (La Nuova Italia, 1993). Cinquanta o cento, non fa differenza.

domenica 2 settembre 2007

La burocrazia italiana ci costa 5.564 euro

La burocrazia costa a ciascun cittadino italiano 5.564 euro all'anno. La pubblica amministrazione del nostro Paese, lungi dall'essere una molla di sviluppo, si rivela un peso, visto che risulta tra le più care tra quelle europee, seconda solo alla Francia, dove però in termini di efficienza e di performance il pubblico impiego è nettamente migliore del nostro. È quanto emerge dall'analisi condotta dall'Ufficio Studi della Cgia di Mestre che ha messo a confronto le principali pubbliche amministrazioni europee.

Sul totale della spesa per la pubblica amministrazione in Italia, spiega però la Cgia, incide molto il costo degli interessi corrisposti sul debito pubblico. Ma una parte rilevante dei costi complessivi è quella relativa al funzionamento della macchina pubblica (ovvero, l'amministrazione e la gestione). Tra i principali Paesi europei solo la Francia con 5.765 euro pro capite registra una spesa superiore alla nostra, ma con ben altri apporti dal punto di vista dell'efficienza. Analizzando i dati, sottolinea la Cgia, emerge che la spesa di funzionamento totale è data dalla sommatoria dei costi per il personale, dai costi per l'amministrazione e la gestione e quelli per gli interessi da pagare sul debito pubblico.

Dietro Francia e Italia quindi c'è il Regno Unito con 5.182 euro, la Germania con 4.115 e all'ultimo posto, tra i principali paesi dell'Europa dei 15, la Spagna con soli 3.247 euro pro capite. «Di fronte a questi risultati - commentano dalla Cgia di Mestre - ciò che balza subito agli occhi non è tanto il costo del personale italiano che con 2.660 euro pro capite è ben al di sotto dei dati riferiti al Regno Unito o alla Francia, bensì i costi per il funzionamento della macchina pubblica che è la più costosa tra i principali paesi Ue nostri competitori. Infatti - concludono - se da noi il costo si attesta sui 1.763 euro pro capite in Francia è pari a 1.389 mentre tutti gli altri paesi sono ben al di sotto di questo importo. Infine, ma questo non rappresenta certo una novità, paghiamo ben 1.141 euro pro capite di interessi sul debito pubblico contro i 752 della Germania, i 739 della Francia, i 638 del Regno Unito e i 379 della Spagna.